E allora eccoci qua, potendo sfruttare questa occasione non ce la siamo fatti scappare con una serie di domande su vari aspetti del gioco e non solo. A giudicare dalle risposte….beh..ne è valsa proprio la pena!
Quando ho iniziato non c’era nemmeno la linea dei 3 punti quasi (30 secondi, 2 tempi da 20)…..è cambiato il mondo!A parte gli scherzi, il cambiamento è l’uso e l’abuso del “pick and roll” e “hand-off” in tutte le azioni, prima era solo in alcune situazioni tattiche di giochi “rotti” o ultimi secondi di un’azione , adesso iniziano , continuano e finiscono con quelli. Questo è un cambiamento epocale.
E poi anche la scomparsa del gioco interno (eccezion fatta per Sassari che lo usa in varie salse): mentre allora tante azioni partivano da dentro l’area, adesso tutto è basato dal movimento creato dal pick and roll.E’ un cambiamento epocale, per quanto mi riguarda con i suoi aspetti positivi ma anche negativi , essendoci un esasperazione ed usandolo con eccessiva frequenza, a volte come unica opzione offensiva. E’ una situazione che può dare senz’altro grande vantaggi, ma non è l’unica soluzione possibile
C’è un aspetto tattico che invece hai sempre cercato di riproporre e/o valorizzare nelle tue squadre?
Non ho mai riprodotto le stesse cose da un anno all’altro, proprio in funzione di questo e anche con il cambiamento di qualche giocatore, che comunque modificava la struttura della squadra.
Mi è capitato di riguardare poi le cose che facevo con le squadre precedenti (a inzago per sette anni, a Bergamo per cinque, Gorle per due), magari la base del gioco offensivo poteva essere simile, ma poi cambiavano alcuni concetti in base anche ai giocatori o alle regole, cercando però di mantenere una continuità difensiva come filo conduttore.
Non sono tanti quei giocatori ( e allenatori) che interiorizzano le cose che chiedi e che provano quotidianamente a lavorare sui propri limiti sulle proprie insicurezze e ad ascoltarsi.
A questi livelli, dove non ci sono professionisti, le differenze le fanno proprio questi aspetti e i progressi basati su questo atteggiamento.
Uscire dalla nostra zona più comoda è chiaramente una paura legittima, tutti noi ne siamo spaventati, per provare ad esplorare qualcosa che non conosciamo.
Questo vale anche per noi allenatori, far capire ai ragazzi che non sei li per giudicarli ma per accettarli e accompagnarli nel loro percorso di cambiamento e nel superare le loro difficoltà; solo in questo modo riesci ad acquisire la loro stima e fiducia.
Un giocatore è disposto a cambiare se sa di essere in un contesto dove c’è qualcuno che non lo giudica, ma appunto lo accompagna e allora più gli allenatori si pongono cosi e più la loro accettazione dell’errore si pone ad un livello più alto, e questo è da ricercare (perchè alcuni ce l’hanno più innata di altri ) e da costruire.
Quando si costruisce con lo staff una squadra, sai già quando chiami un giocatore senior che caratteristiche tecniche e fisiche ha, per cui le prime cose che mi interessano sono le aspettative che il giocatore ha, come si vede all’interno di una squadra e quali sono le cose che ritiene importanti.E se potessi conservare in quel laboratorio 3 provette contenenti le migliori abilità di giocatori che hai affrontato, quali sarebbero?
Maxi Moreno specialmente sulle letture del pick and roll. Letture unito ad un bagaglio tecnico di primissimo livello.
E proprio in relazione di questo suo valore, è sempre stato inevitabilmente e sportivamente “odiato” come avversario, ma avendo avuto il piacere di conoscerlo fuori dal campo posso ritenerlo senz’altro una bella persona e di spessore umano notevole e questo dà ancora più risalto al suo valore.
E poi in campo ci ha fatto sempre impazzire…come vanificava ogni scelta difensiva (quarta, terza, raddoppio, di tutto) ne ho visti davvero pochi, davvero giocatore incredibile.Salvini Alessandro (giocatore di Verolanuova) , pur con fisico da “ragioniere”, di grande livello tecnico e capacità di decidere le partite, con una mano mortifera. Al Lussana , all’XL, e all’XXL ci ha sempre fatto un gran male, ed è giusto riconoscerglielo, ancora di più considerando il suo fisico “normalissimo”.
Claudio Velardo per essere stato dominante come centro pur nel corpo di una guardia, e per la sua capacità di essere concreto e di “far male” alle difese avversarie, anche con pochi movimenti ma risultando sempre concreto, un Dennis Rodman della bassa, visto che siamo in tema di Last Dance.
Bisogna chiedere se ai giocatori senior che ho allenato gli piaceva difendere!
Ai giorni nostri a nessuno piace stare al centro della difensiva, tutti vogliono essere protagonisti di qualcosa che si parli di loro.
In difesa partire dal concetto che puoi ribaltare l’iniziativa e decidere tu, al punto che quando lo percepisci sul campo ne gioisci come un canestro segnato è una buona base di partenza e anche il piacere nel vedere che gli avversari lo subiscono e percepiscono nello stesso modo.
Anche in XXL ai play-off con Pizzighettone, o Inzago, che sapevi anche e soprattutto che nei momenti di difficoltà tu la partita l’avresti girata cosi.
Lo alleni sicuramente con la costanza e la proposta di esercizi vari ma consecutivi (partendo da regole semplici, pian piano andando in progressione, legandole l’una con l’altra, ecc), e oltre questo anche gratificarla con condivisione e sostegno partecipativo soprattutto in allenamento attraverso il linguaggio corporeo (pacche, cinque ai compagni, ecc)
E’ importante per me partire già all’inizio per costruire delle solide basi e poi durante la stagione richiamarle e trovare dei momenti in cui c’è più disponibilità della squadra a farlo perchè ci sono momenti in cui la squadra è più “disponibile” rispetto ad altri, questo è chiaro.
Far capire ai giocatori che nei momenti importanti, di difficoltà (play-off), tu hai qualcosa a cui aggrapparti e che ti può sostenere sapendo che l’hai costruito nei mesi, attraverso il lavoro, momenti di fatica, ripetizioni; farlo per tutta la stagione sempre al massimo è impensabile, anche ai livelli più alti (Eurolega , serie A,ecc), nelle nostre prestagioni il tempo dedicato alla difesa è sempre stato maggiore di quello dedicato all’attacco, sapendo che comunque ad inizio stagione l’attacco per varie ragioni sarebbe stato in difficoltà nel trovare continuità offensiva, e allora volevamo partire cercando di far fare meno canestri agli avversari.
E secondo me è più facile farlo nel giovanile piuttosto che senior, perchè sono più “puri”, se li coinvolgi in quel tipo di percorso già a 13-14 anni, allora poi diventa una risorsa che ti porti dietro, chiaramente deve essere sentito in primis dall’allenatore, non come un esercizio punitivo, altrimenti perderebbe di significato e non verrebbe colta l’importanza.
Allenare costantemente la difesa non si può ridurre solo ad una questione fisica o di “voglia”: le componenti difensive sono tutte esattamente importanti allo stesso modo, c’è anche una conoscenza del gioco, dei tempi dell’anticipo, di una rotazione, di una lettura di blocchi, quindi al di là della predisposizione alla fatica c’è anche volontà di scoprire e comprendere cosa il gioco ti propone in ogni situazione .
Avendo visto molti giocatori con talentidiversi, secondo te il talento si può allenare?
Secondo me si deve allenare.
Altrimenti rientra nella categoria dei potenziali “what if” (che giocatore sarebbe se”) . Il talento ha senso solo se viene messo a disposizione affinché lo si possa allenare.
Il talento quindi non può essere efficace se non si mette nella condizione di prestarsi all’allenamento, altrimenti resta fine a se stesso.
Il fatto che un giocatore abbia talento, non può impedire a lui (e a chi lo allena) di mettersi in gioco e provare a migliorare altri aspetti che possano completarlo o migliorarlo. è più “comodo” tenere quel giocatore che può dare una mano nell’immediato con quel talento piuttosto che potenziarlo su altri aspetti che possano renderlo ancora più forte e migliorare anche chi gli sta intorno.
Se guardate “The Last Dance” (allerta spoiler), si vede che Phil Jackson appena arrivato chiede a Jordan di smettere di essere il miglior realizzatore del campionato, se la sua volontà è di vincere. E Jordan lo fa, mettendosi, con il suo carattere e il suo talento ovviamente, a disposizione della squadra.
Con l’uscita, appunto, di ‘The Last Dance’ si è vista una leadership tanto ingombrante quanto aggressiva di Jordan, questa caratteristica secondo te è proprietà di pochi eletti o potenzialmente può appartenere a tutti i giocatori?
Ho avuto il piacere di leggere il libro di Phil Jackson “Basket & Zen” in cui si parla molto della leaderhsip di Jordan, della loro relazione e del rapporto di Jordan con la squadra visto dal di dentro, ma anche guardando “The Last Dance” ci sono alcuni momenti illuminanti in tal senso:
-Le reazioni di Phil Jackson a ciò che Jordan fa (quando provoca verbalmente o fisicamente i suoi compagni, il guardare come Phil Jackson interagisce a livello di linguaggio del corpo fa capire la consapevolezza di Jordan rispetto al limite che si poteva superare, o al limite rispetto al quale poi interveniva privatamente)
-Quando Jordan ammette di sapere di essere stato antipatico e duro, perchè aveva come obiettivo quello di tirar fuori il massimo dai compagni: “Potete chiedergli se sono simpatico o meno, nessuno di loro vi dirà che ho chiesto loro di fare qualcosa che io non avessi fatto”. Per me questa è l’essenza del leader, cioè non quello del saper usare la voce, o un canestro in più, ma prima di chiedere, mettersi come ultimo della fila, e fare.
Un altro momento è quando Will Perdue ammette che Jordan è stato uno “stronzo”, ma dopo tanti anni ti rendi conto che è stato un compagno davvero ottimo.
Come anche l’episodio con Steve Kerr , della scazzottata in allenamento e di Jordan che poi va a parlarci , dimostrando comunque grande consapevolezza di quello che voleva fare ed ottenere anche dai compagni.
Episodi che mettono in luce tanti elementi della componente della leadership, cioè saper fare e fare prima di pretendere, metterci la faccia quando si sbaglia nonostante il suo essere il giocatore più forte, o il non farsi scrupoli per numerosi momenti di risultare antipatico ai compagni per alzare il livello della squadra.
Ci sono anche , chiaramente degli aspetti estremi, ma bisogna staccarsi forse dal giudizio rispetto alla pesantezza di alcuni suoi comportamenti e provo a ricondurli a cosa vuol dire essere leader, poi il limite di tutto questo può essere definito solo da chi l’ha vissuto veramente.
Per questo non mi sento di definirlo un leader negativo, pur con tutte le esagerazioni, anzi ci sono dei tratti di leadership davvero alta.
Per me è composta da tanti aspetti che vanno allenati: in primis lo sguardo della squadra…chi parte da se per guardare gli altri deve essere orientato ad avere uno sguardo diverso. Essere leader significa saper vestirsi nei panni degli altri, avere chiaro cosa il tuo allenatore e la società vuole che la squadra rappresenti. Chi vuole esserlo non può non conoscere gli aspetti e le regole fondamentali, comportamentali e tecniche che guidano lo stare insieme e dovrebbe essere il primo a perseguirle, rispettarle ed attenervisi.
Lo si allena settimanalmente questo aspetto, non necessariamente agli occhi della squadra, ma anche all’interno di una relazione diretta tra il giocatore e l’allenatore in un confronto anche su episodi o momenti di allenamento o partita.Cè sempre una stima ed un rispetto lampante quando si parla di “Albe Galli”, questo deriva probabilmente dal tipo di rapporto umano che hai costruito con giocatori e addetti ai lavori con cui hai collaborato nel corso degli anni, ritieni che questo sia uno dei tuoi più grandi successi da allenatore?Apprezzo e ammetto, senza falsa modestia, che è un aspetto che mi han detto in molti, che è rimasto tanto del rapporto costruito al di là delle esperienze di gioco e dei periodi in cui abbiamo vissuto delle esperienze insieme.
Ho sempre pensato che se bisogna andare in palestra per parlare di un pallone da passare in un certo modo, di come tirare, avrei smesso subito …. a me dell’allenare mi è sempre interessato il mettermi in relazioni con le altre persone anche con i miei limiti, le mie difficoltà, o qualcosa che non riuscivo a vedere e qualche allenatore, giocatore o dirigente riusciva a mettere in luce.
La pallacanestro è sempre stato lo strumento attraverso il quale porsi in relazione: chiaramente bisogna parlare di come si tira, passa o si fanno i blocchi ma è sempre stato funzionale nel costruire una relazione individuale e di squadre. Le squadre spesso stanno bene insieme, si divertono e guarda caso spesso vincono se si crea qualcosa di più profondo.
Ho sempre cercato di pormi in maniera diretta con le persone, a volte arrabbiandosi, a volte anche piangendo, ma perchè ritengo importante mettersi in relazione per quello che si è ,anche con le proprie paure e fragilità. Questo vale anche per i giocatori con le loro arrabbiature o con le loro difficoltà, com’è normale che sia, non l’ho mai visto unostacolo ma anzi un qualcosa su cui relazionarsi e costruire fiducia e rapporti duraturi nel tempo.
Per concludere, da 1 a 10 quante probabilità ci sono di vederti l’anno prossimo sulla panchina dell’Azzanese ? E perchè proprio 10?
Non mi manca la parte di gioco e la gestione della partita, perchè la parte che mi interessa di più la posso ancora fare.
( e noi , sapendo che gli piace questo aspetto relazionale, gli ricordiamo che all’Azzanese c’è un mondo intero con cui potersi relazione e tante persone da conoscere!)Potremmo chiudere qui l’intervista con i saluti…ma lo faremo con una domanda….:COSA FARESTI SE NON AVESSI PAURA?